I sintomi psicosomatici sono sintomi fisici intimamente legati a fattori di stress intrapsichici e conflitti psichici inconsci.
Un’ipotesi implicita nelle formulazioni teoriche esposte circa i meccanismi psichici alla base dei disturbi di somatizzazione è che una modalità disadattiva di evitamento delle emozioni e di ritiro sia stata patologicamente “appresa” da parte del paziente. Il trattamento psicoterapeutico può contribuire a ristrutturare questi modelli maladattivi appresi.
Studi di risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che gli stati clinici di ansia, depressione, il disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi di somatizzazione coinvolgono stati alterati di attivazione fisiologica del cervello che possono, in molti casi, essere normalizzati con un trattamento psicoterapeutico appropriato. Ciò è coerente con l’osservazione che “diverse forme di psicoterapia portano a cambiamenti strutturali nel cervello, proprio come farebbe qualunque forma di apprendimento.”
Vale la pena considerare l’importanza di una buona relazione tra paziente e clinico per stabilire un rapporto terapeutico in grado di poter facilitare il cambiamento delle credenze: ad esempio distinguere, mentre si avverte un dolore al petto e la mancanza di respiro, un attacco di cuore da un attacco di panico: entrambi sono reali e trattabili ma hanno un fisiopatologia diversa e richiedono terapie differenti. L’importanza di una buona diagnosi differenziale è fondamentale ma allo stesso tempo è richiesto un notevole grado di apertura mentale e di collaborazione.
L’obiettivo del coinvolgimento del paziente all’interno della relazione terapeutica è anche quello di colmare il divario comunemente riscontrato nel dualismo tra cervello e mente, riducendo così lo stigma spesso elicitato dalla presentazione di possibili “sintomi psicogeni.” Questo processo può infondere speranza e ottimismo per quanto riguarda la capacità del paziente di ottenere un miglioramento clinico, soprattutto se eventuali precedenti trattamenti falliti si sono basati solo sull’esplicitazione di cause puramente fisiche.
Quando la relazione psicoterapeutica evolve verso un possibile piano di trattamento, è importante raggiungere un consenso diagnostico tra il medico di base inviante, lo psicoterapeuta, il paziente e talvolta anche alcuni membri della famiglia coinvolti (come i genitori nel caso di adolescenti).
Come con qualsiasi intervento clinico, la pianificazione del trattamento deve essere formulata singolarmente e su misura per qual singolo paziente. Ci sono diverse opzioni di intervento terapeeutico che è possibile prendere in considerazione.
Interventi di rassicurazione e psicoeducativi possono avere qualche efficacia (seppur limitata e temporanea) e possono essere forniti anche dal medico di base nei casi acuti e di breve durata. I casi che si presentano come risposta limitata ad uno stress situazionale da cui il paziente può riprendersi con un minimo supporto psicologico non necessitano, solitamente di un intervento psicoterapeutico.
La psicoterapia individuale è però spesso necessaria quando il disturbo dura da molto tempo e quando i sintomi risultano essere maggiormente significativi e invalidanti: in questo caso è necessario un intervento clinico più approfondita e strutturato. Diversi approcci, che non si escludono necessariamente a vicenda, possono essere utilizzati.
Le strategie psicodinamiche si concentrano sulle cause profonde e sui conflitti inconsci nonché sulle modalità difensive utilizzate dall’apparato psichico che generano i sintomi psicosomatici. Queste psicoterapie psicodinamiche solitamente forniscono risultati duraturi e prevengono eventuali recidive.
Le strategie comportamentali possono essere molto utili con i bambini, gli adolescenti e gli adulti gravemente deteriorati. La terapia cognitivo-comportamentale si concentra su riformulazioni concettuali, in modo che l’accento venga posto sulla ristrutturazione cognitiva del paziente per comprendere le condizioni che hanno generato il disturbo e chiarire in che modo il paziente può trovare soluzioni alternative. Queste strategie seguono delle modalità di intervento più direttive di quanto non avvenga con l’approccio psicodinamico.
Anche la psicoterapia di gruppo può essere molto utile, sia come aggiunta al trattamento individuale che come unico approccio terapeutico.
La mindfulness, la meditazione, il rilassamento e alcune tecniche di respirazione profonda possono essere utili come trattamento coadiuvante. Questi approcci promuovono un migliore equilibrio tra mente e corpo, mirano a diminuire lo stress fisiologico e psicologico e ad aumentare il senso di controllo su sintomi somatici. Anche le terapie fisiche (fisioterapia) possono essere estremamente utili.
Gli psicofarmaci possono dare un certo beneficio in caso di disturbi psichiatrici concomitanti, tra cui ansia, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo e psicosi, ognuno dei quali può coesistere con il disturbo di somatizzazione. Non va inoltre trascurato il ruolo che gli psicofarmaci possono avere per quei pazienti che hanno difficoltà a cogliere il concetto di somatizzazione, che si sentono a disagio con la psicoterapia o che desiderano una “medicina” per legittimare la validità della loro malattia fisica.
Per i pazienti gravemente deteriorati, psicotici o con profondi disturbi della personalità, può essere utile pensare anche ad un trattamento ospedaliero in una unità medica dove siano disponibili differenti risorse di riabilitazione psichiatrica e fisica.