Il termine reversibilità è stato introdotto da Jean Piaget nelle sue ricerche sperimentali relative allo sviluppo delle strutture intellettuali nel bambino. Con il termine di “pensiero reversibile” Piaget intende indicare un tipo di pensiero che normalmente compare nel bambino tra i sei e gli otto anni (contrapponendosi al pensiero irreversibile caratteristico delle età precedenti) e che rende conto della graduale formazione della capacità di compiere alcune operazioni mentali elementari sia di ordine spaziale sia di ordine logico e numerico, e della acquisizione di un certo numero di nozioni che formano la base del pensiero comune (come la lunghezza, la durata, la classe, la serie, ecc). Ma cosa significa in realtà “pensiero reversibile”?
Questa espressione può indurre in errore in quanto sembra suggerire l’idea che un certo processo che si è svolto secondo una certa direzione, possa svolgersi in direzione inversa, oppure che il pensiero possa ripercorrere all’indietro le fasi di un processo, partendo dall’ultima per tornare alla prima e ricostituendo così le condizioni di partenza.
Consideriamo la seguente situazione, che è stata utilizzata da Piaget nelle sue ricerche sullo sviluppo della capacità di riconoscere della qualità fisiche invarianti: vengono presentati ai bambini di varia età due palle di plastilina delle stesse dimensioni, con l’invito di porli a confronto e dire se “vi è più pasta nell’uno, o nell’altro, o uguale”. I bambini in genere riconoscono l’equivalenza. Se però sotto i loro occhi una delle palle viene appiattita e si chiede ai soggetti se vi è ancora tanta pasta da un parte come dall’altra, il comportamenti dei bambini di cinque anni è nettamente diverso da quello dei bambini di otto. Questi ultimi riconoscono immediatamente che “vi è ancora la stessa quantità di pasta”, mentre i primi negano l’equivalenza ed affermano che da una parte (in genere nel blocco di plastilina appiattito) vi è adesso più pasta. Come mai?
Si potrebbe pensare che i bambini di otto anni siano in grado di comprendere che con la pasta del blocco appiattito sarebbe possibile tornare a fare una palla come quella di prima, e talvolta la giustificazione che essi portano è proprio questa. Si potrebbe cioè pensare che siano in grado di immaginare un possibile ritorno alla situazione dio partenza. Ma tra la giustificazione (che viene data solo in un secondo momento) e il reale processo di pensiero che ha loro permesso di riconoscere l’invarianza della sostanza può non esservi coincidenza.
In realtà il processo di pensiero che porta al riconoscimento dell’invarianza non consiste tanto nell’immaginare un evento inverso a quello al quale hanno assistito, quanto piuttosto nel tenere conto, nel momento in cui osservano la fase finale, anche della fase iniziale e delle fasi intermedie. Vi è certamente ritorno, reversione, ma soprattutto nel senso che il campo di coscienza di un bambino di otto anni è ormai abbastanza ampio e giunge a comprendere più fasi di un evento, così che egli è in grado, mentre considera la situazione che ha sotto gli occhi (palla e blocco schiacciato) e senza cessare di considerarla, di riandare alla situazione di partenza e quindi di riconoscere che, nel passaggio dalla prima alla seconda, vi è stato soltanto un mutamento di forma e non un’aggiunta o una sottrazione di sostanza. Un bambino di cinque anni invece, è in grado di tenere conto solo della situazione del momento, dato che quella precedente è ormai come svanita, inesistente per lui; e la situazione del momento, considerata da sola, suggerisce l’esistenza di una diversità e condiziona quindi il giudizio che egli esprime.
Reversibilità del pensiero significa, dunque, capacità di pensare due cose per volta, ovvero tenere mentalmente presenti due fasi diverse di un evento.
Per rendere più evidente questo significato del termine consideriamo un altro esperimento classico di Piaget: si presentano a bambini di varia età una fila di dieci perle, di cui otto sono rosse e due bianche, chiedendo, in successione, di mettere in una scatola ora “tutte le perle” (che poi vengono nuovamente messe sul tavolo) ora “tutte le perle rosse” ed ora “tutte le perle bianche”. Un bambino di cinque anni sa eseguire, uno dopo l’altro, questi tre compiti. Quello che gli si chiede infatti, è di “centrare” ogni volta una qualità della situazione: “perla”, “rossa”, “bianca”.
Se però a questo punto gli si chiede: “vi sono più perle rosse o più perle?” il bambino di cinque anni tende a rispondere affermando che vi sono più perle rosse, mentre un bambino di otto anni sa rispondere in modo corretto.
Dove sta la difficoltà per il bambino di cinque anni? Nella mancanza di reversibilità del pensiero, intesa appunto come incapacità di pensare più di una cosa per volta, di tenere presenti contemporaneamente alla mente due fasi successive, e non incapacità di ricostruire alla rovescia un processo. Infatti qui non siamo di fronte a un processo che possa essere rivissuto alla rovescia, come nel caso della plastilina. Si tratta invece di utilizzare una parte delle perle (quelle rosse) per costruire la classe, o l’insieme delle perle rosse, e poi tenendo ben presente questa classe (fase finale), comportarsi tuttavia anche come se essa non fosse ancora costruita (fase iniziale) e utilizzare dunque quelle stesse perle per la costruzione della classe “perle” (sia rosse che bianche, quindi più estesa dell’altra). Un bambino di cinque anni invece pensa alle perle rosse considerandole appunto solo come “rosse” e non anche come “perle” (e in ciò accomunabili anche alle bianche) e pertanto per lui le perle con cui è invitato a confrontare le rosse sono soltanto le bianche, che sono evidentemente di meno.