di Luca Mazzotta
Walter Joffe e Joseph Sandler hanno pubblicato negli anni ’60 del secolo scorso una serie molto interessante di articoli la cui caratteristica principale era quella di essere orientati in senso evolutivo. Il primo di questi articoli (Sandler e Joffe, 1965a) riguarda i fenomeni ossessivi nei bambini e suggerisce che particolari modi di funzionamento dell’Io possono essere associati a diversi livelli di piacere, creando così le condizioni per il ritorno a quella modalità di funzionamento in un modo analogo a quello relativo alla regressione pulsionale.
Bambini ossessivi manifestano un “particolare stile delle funzioni percettive e cognitive dell’Io che segnala la fissazione dell’Io al secondo e terzo anno di vita”. In altri due articoli sulla depressione e sull’individuazione
L’aspetto più importante nella concettualizzazione della regressione offerta da Joffe e Sandler è stata la capacità di riconoscere le principali implicazioni teoriche della nozione di Freud di persistenza, mettendo in rilievo che le strutture psicologiche
“non sono mai perse nel corso del normale sviluppo, ma piuttosto vengono create nuove e ausiliarie strutture con maggiore complessità, e queste nuove strutture divengono sovraordinate a quelle esistenti nel corso dello sviluppo. La più complessa organizzazione emergente deve fornire non solo un efficace mezzo per la scarica ed il controllo, ma deve anche includere dei sistemi di inibizione dell’utilizzo delle vecchie strutture” (Sandler e Joffe, 1967).
Nella visione di Joffe e Sandler, quindi, la regressione è una disinibizione in favore della vecchia struttura psichica, più che un movimento contrario o all’indietro verso quella struttura. La nozione di persistenza ha continuato ad occupare una posizione centrale nel pensiero di Sandler: la regressione non è un tornare indietro nel tempo ma piuttosto una attenuazione della funzione antiregressiva attribuita all’Io. Questa funzione antiregressiva, che normalmente impedisce all’individuo di lavorare secondo le modalità di un livello evolutivo più basso, è centrale per quanto riguarda il fenomeno della resistenza nella clinica psicoanalitica: il trattamento psicoanalitico infatti può essere visto come una situazione in cui è necessario attenuare la funzione antiregressiva al servizio dell’analisi. Il permettersi consapevolmente di tollerare i propri desideri inconsci, prima intollerabili, è di fondamentale importanza poiché consente di trovare delle soluzioni migliori o dei compromessi adeguati ai propri conflitti derivanti dalle fantasie di desiderio o da quelle forze difensive che hanno la funzione di proteggere il Sé.
Pubblicazioni citate
Joffe W.G. e Sandler J. 1965 – Notes on pain, depression, and individuation // The Psychoanalytic Study of the Child. – 20. – p. 394–424.
Sandler J. e Joffe W.G. 1965a – Notes on obsessional manifestations in children // The Psychoanalytic Study of the Child. – 20. – p. 425–438.
Sandler J. e Joffe W.G. 1965b – Notes on childhood depression // International Journal of Psycho-Analysis. – 46. – p. 88-96.
Sandler J. e Joffe W.G 1967 – The tendency to persistence in psychological function and development with special reference to fixation and regression // Bulletin of the Menninger Clinic. – 31. – p. 257–271.
Nota sulla termine di “persistenza” nell’opera freudiana
Il termine cui si riferisce Sandler si trova solo nella Standard Edition (“Introduzione alla psicoanalisi”, lezione XXXV della “Nuova serie di lezioni” del 1932), ma non nelle Opere o nella Gesammelte Werke di Sigmund Freud, a causa di una traduzione differente dall’originale tedesco.
Nella Standard Edition infatti si legge:
“The last contribution to the criticism of the religious Weltanschauung has been made by psychoanalysis, which has traced the origin of religion to the helplessness of childhood, and its content to the persistence of the wishes and needs of childhood into maturity”.
Nelle Opere, invece, il sostantivo utilizzato nella versione inglese non è presente, così come nell’edizione in tedesco:
“L’ultimo contributo alla critica della visione religiosa del mondo è stato fornito dalla psicoanalisi, che ha indicato l’origine della religione nello stato del bambino privo di ogni difesa e ha fatto derivare i suoi contenuti dai desideri e dai bisogni dell’infanzia, protrattisi sin nella maturità”.
Anche nella Gesammelte Werke, infatti, non si ha il sostantivo:
“Den letzten Beitrag zur Kritik der religiösen Weltanschauung hat die Psychoanalyse geleistet, indem sie auf den Ursprung der Religion aus der kindlichen Hilflosigkeit hinwies und ihre Inhalte aus den ins reife Leben fortgesetzten Wünschen und Bedürfnissen der Kinderzeit ableitete”.
Ad ogni modo il concetto freudiano di modalità di funzionamento psichico che permangono attive negli sviluppi successivi è già presente, ad esempio, nei “Tre saggi sulla teoria sessuale” del 1905.