Rigidità caratteriali, problemi relazionali e disturbi della personalità
Con il termine personalità ci si riferisce al particolare modo di una persona di comportarsi e di percepire se stessa e gli altri: è la manifestazione evidente dell’attività di strutture psicologiche sottostanti che possono essere pensate come costituite da immagini di sé in relazione agli altri. Queste strutture psicologiche non sono altro che l’internalizzazione di modelli relazionali, affettivi, cognitivi, motivazionali e morali. La combinazione di questi elementi forma quello che viene definito come “carattere“, e questa combinazione di elementi contribuisce a definire il modo in cui un individuo agisce, interpreta e percepisce il mondo.
In particolare le interazioni (emotivamente significative) tra il bambino e le figure di accudimento importanti (la madre e il padre, ma non solo) ripetendosi nel tempo, portano alla creazione di rappresentazioni specifiche di sé e degli altri intrise della qualità emotiva con cui sono state inizialmente sperimentate. L’emozione associata a queste rappresentazioni di interazioni può variare da un amore intenso ad un odio estremo.
È sempre utile precisare che, formandosi nei primi anni di vita, queste rappresentazioni non sono riproduzioni accurate e fedeli della realtà: tendono invece a rappresentare in modo piuttosto estremizzato le interazioni e gli affetti che le riguardano. Di conseguenza quando un evento successivo attiva quella particolare rappresentazione, la persona tende a sperimentarla in modo estremo e semplicistico, del tutto scollegata da una diversa rappresentazione di sé e dell’altro che potrebbe essere attivata da un evento differente (ad esempio un individuo può sentirsi molto felice e apprezzato quando un amico gli sorride ma può sentirsi triste e inutile se lo stesso amico è in ritardo all’appuntamento: le immagini corrispondenti dell’amico sono di una persona amorevole nel primo caso e di una persona rifiutante nel secondo).
Nel caso di un sano sviluppo psicologico, queste molteplici rappresentazioni iniziali, estreme e disconnesse tra loro, progressivamente si integrano in immagini interne di sé e degli altri più complesse e realistiche. Ci si accorge che le persone, compresi se stessi, hanno contemporaneamente qualità buone e cattive, che è possibile sperimentare delle delusioni riguardo se stessi o gli altri pur continuando ad apprezzare l’esistenza di buone qualità. Si fa esperienza del fatto che provare emozioni negative non distrugge la capacità di continuare a provare emozioni positive e che il proprio stato emotivo in relazione agli altri può essere complesso, con una contemporanea varietà di emozioni di differente natura (e non solo tutte positive o tutte negative).
Un sano sviluppo psicologico, inoltre, porta ad acquisire un senso di sé, un’identità integrata, coerente e stabile nel tempo basata su una valutazione realistica di ciò che si è in cui gli affetti positivi non vengono soffocati da quelli negativi e la forza dell’Io rende possibile affrontare le sfide e le delusioni della vita.
Nel corso dello sviluppo psicologico normale le rappresentazioni estreme di sé e dell’altro tendono ad integrarsi in un insieme unitario che conduce ad un modo più maturo e flessibile di percepire se stessi e gli altri.
Nello sviluppo psicologico che porta a disturbi della personalità invece, vi è un fallimento nell’integrazione di tali rappresentazioni più estreme. Le rappresentazioni interiorizzate associate ad affetti opposti restano separate tra loro e continuano ad esistere indipendentemente le une dalle altre: la percezione del mondo allora è che questo viene vissuto in termini molto concreti, “tutto o niente”, “bianco o nero”, senza gradazioni e spesso senza continuità. Gli impulsi vengono percepiti come troppo concreti, hanno poca possibilità di venire rappresentati psichicamente e perciò spesso esitano in una azione compulsiva e impulsiva (“non potevo fare a meno di”). Questo vissuto è forse più drammaticamente sperimentato da individui con personalità borderline, ma si osserva anche in individui con altri disturbi di personalità come il disturbo narcisistico, istrionico e paranoide.
La mancanza di un senso di identità complesso, realistico, stabile e ben integrato porta ad indebolire le funzioni dell’Io: le conseguenze sono labilità emotiva, impulsività, difficoltà a tollerare ansia e delusione, estrema sensibilità al rifiuto e tutta una serie di altri sintomi comuni ai diversi disturbi di personalità.
Purtroppo il mancato raggiungimento di un senso integrato e stabile di sé e degli altri porta quasi sempre a importanti difficoltà all’interno delle relazioni interpersonali, con i familiari, con il partner, con i colleghi o con gli amici. Spesso è necessaria una psicoanalisi o una psicoterapia psicoanalitica.
In alcuni casi il disturbo di personalità è meno grave: si parla di patologie della personalità di alto livello o di rigidità della personalità. Qui le rappresentazioni interne dell’individuo sono meglio integrate ed il senso di identità è maggiormente consolidato: i tratti disadattivi possono presentarsi sotto forma di inibizione di comportamenti normali (ad es. un atteggiamento di generale passività nella vita personale o professionale) oppure di esagerazione di alcuni comportamenti (ad es. un perentorio bisogno di controllare sempre tutto e tutte le persone con cui ha a che fare): in altri termini c’è qualche elemento chiave che non si è potuto integrare nelle rappresentazioni interne e quindi si osserva uno stile caratteriale, rigido, poco o per nulla flessibile. Vi è una diminuita capacità di adattarsi alle fonti interne ed esterne di conflitto e di ansia, una difficoltà a prendere le cose “per quello che sono” o a “lasciar perdere”, una improduttiva tendenza alla preoccupazione eccessiva. Talvolta invece si osserva una sorta di “disinvolta indifferenza” per alcune emozioni poco piacevoli associate a situazioni dolorose o conflittuali. Altre volte si osservano inibizioni relative alla sessualità, all’intimità e al successo professionale, anche sotto forma di autovalutazioni distorte.
Si tratta comunque, nel caso dei disturbi di personalità di alto livello, di persone con una certa attitudine a impegnarsi in un trattamento a lungo termine, con una relativamente ben sviluppata capacità di mettersi in discussione, con buona capacità di stabilire e mantenere un rapporto terapeutico e in grado di comprendere e valutare la natura simbolica del pensiero oltre che di saper controllare adeguatamente gli impulsi. In questi casi è assolutamente indicata una psicoanalisi (a tre o quattro sedute settimanali) o, quando ciò non sia possibile, una psicoterapia psicoanalitica (una specifica forma di psicoterapia psicoanalitica per questi disturbi è la Dynamic Psychoterapy for Higher level Personality Pathology – DPHP – strutturata a due sedute settimanali la cui durata si aggira mediamente tra i due e i quattro anni) in grado di stimolare le ansie e di poterle analizzare in una situazione sicura e contenitiva. Quando il paziente non ha più bisogno di reprimere la propria esperienza interna per evitare le ansie ad essa associate, allora sarà meno rigido e inibito e più libero.
I motivi per i quali si strutturi un disturbo della personalità in un particolare individuo sono molteplici e complessi: fattori temperamentali biologicamente determinati (genetici) si combinano e interagiscono con fattori ambientali in maniera tale da portare a strutture psicologiche relativamente scisse e non completamente integrate.
In breve, le rappresentazioni interne di caregivers disponibili che interagiscono con un sé gratificato sono totalmente scisse da rappresentazioni interne di caregivers frustranti in relazione ad un sé umiliato e privo di aiuto. Rappresentazioni così estreme sono ovviamente impregnate di potenti stati affettivi: affetti di amore nel primo caso e di odio nel secondo. Poiché il paziente non ha alcuna consapevolezza del proprio mondo interno e della sue rappresentazioni scisse e non integrate, la sua reazione agli eventi comporta una spiacevole oscillazione tra gli estremi positivi e negativi della gamma dei propri stati affettivi. Queste oscillazioni sono alla base dell’instabilità soggettiva e determinano specifici sintomi individuali come rapporti interpersonali caotici, labilità emotiva, pensiero del tipo “bianco o nero”, rabbia ed una certa tendenza ad avere una visione distorta o incompleta della realtà.
“I sintomi psichici o psicosomatici e i vissuti di disagio spesso impediscono di godere di una vita migliore, più serena e soddisfacente. Tuttavia un cambiamento è possibile se è fortemente desiderato e si è disposti ad impegnarsi per ottenerlo”
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