di Luca Mazzotta – Psicologo Psicoterapeuta Psicoanalista a Milano
L’elemento centrale di una psicoterapia con un paziente borderline è l’attenzione rivolta alla relazione col terapeuta nel qui e ora. Lo scopo è quello di riportare la comprensione dei problemi di mentalizzazione all’interno della relazione con lo psicoterapeuta e, a partire da qui, riparare o ricostruire la funzione mentalizzante: in questo senso assume un’importanza fondamentale l’interpretazione sistematica delle rotture temporanee dell’alleanza terapeutica.
La priorità tecnica non è più, dunque, quella di rendere conscio ciò che é inconscio, ma “la sopravvivenza dell’immagine dello stato mentale del paziente che l’analista ha nella sua mente” (Fonagy e Target, 2000). Ciò significa che l’attenzione deve essere volta ad evitare che il paziente distrugga la percezione, nella mente dell’analista, di se stesso come una persona dotata di una mente, così da poterla gradualmente sperimentare per poi usarla come base della propria rappresentazione dei pensieri e dei sentimenti che prova.
L’interpretazione psicoanalitica necessita sempre, da parte del paziente, di un certo grado di apertura mentale rispetto all’esistenza di prospettive differenti rispetto a quella da cui egli considera la realtà. In assenza di questa capacità, l’interpretazione potrebbe, nel migliore dei casi, non avere alcun effetto oppure portare a dei sentimenti di intollerabile intrusione o di mancanza di comprensione. C’è da dire che nella mente adulta l’assenza della mentalizzazione non è mai assoluta: il terapeuta deve di volta in volta valutare il grado di apertura del paziente che ha davanti, per poi cercare ampliarlo gradualmente.
Non si tratta certamente di un compito facile poiché il paziente, nel momento in cui si instaura una relazione di attaccamento, cioè non appena si stabilisce un transfert chiaro ed evidente, tenderà ad esternalizzare ad ogni costo il sé alieno sul terapeuta. Ma è proprio in questo momento che è efficace intervenire: l’esternalizzazione del sé alieno, infatti, lascia il paziente con un senso del Sé più coerente e dunque è anche più capace di ascoltare e addirittura di provare preoccupazione. In questo momento l’analista deve avere la capacità di mantenere una rappresentazione coerente del vero sé del paziente, distinta ma anche contemporanea all’esternalizzazione del sé alieno. Ciò non sarà facile perché il terapeuta si sentirà pressato ad agire controtransferalmente in conseguenza dell’identificazione proiettiva del paziente (l’esternalizzazione accompagnata dall’induzione a far agire l’oggetto in modo coerente con l’esternalizzazione stessa), perdendo così la rappresentazione del vero sé del paziente. Non sarà facile neppure per il paziente stesso, il quale non appena sentirà una “restituzione” diversa dalle sue proiezioni, sarà portato a temere che gli oggetti (o la rappresentazione del sé alieno) esternalizzati possano fare ritorno.
Inoltre c’è sempre da tener presente che quanto più l’attivazione emotiva aumenta, anche in risposta al lavoro di interpretazione, tanto più il paziente rischia di perdere ogni residua capacità di mentalizzare. In questo caso le interpretazioni, per quanto accurate possano essere, andranno al di là di ogni reale capacità del paziente di ascoltare.
Per approfondire: Fonagy P. e Target M. (2000) Playing with reality: III. The persistence of dual psychic reality in borderline patients. International Journal of Psychoanalysis – 81 – p. 853-873 – Tr. it.: in “Attaccamento e funzione riflessiva”. Milano, Cortina (2001).
Per approfondire in questo sito il concetto di Sé alieno si possono vedere le relazioni tra sé alieno e rispecchiamento materno e tra funzionamento borderline e sé alieno .