di Luca Mazzotta – Psicologo e Psicoterapeuta a Milano
A differenza di quanto comunemente si sostiene, per quanto riguarda l’inibizione della capacità di mentalizzare, non sarebbe del tutto esatto ritenere che i pazienti borderline non mentalizzino efficacemente: il fallimento in realtà avviene solo all’interno delle relazioni di attaccamento.
Nelle relazioni di attaccamento risulta evidente il fallimento della capacità di mentalizzare con un conseguente senso di diffusione di identità, mancanza di un senso del Sé come agente psicologico, incoerenza, senso di vuoto, disturbi nell’ambito della percezione della propria immagine corporea e disforia (Fonagy, et al., 2007).
In questo stato i pazienti tendono a interpretare male sia i propri stati psichici che quelli degli altri: in particolare gli stati mentali tendono ad essere rappresentati in modo meno complesso e differenziato rispetto a quanto di solito avvenga nei pazienti con altri disturbi (Baker, et al., 1992). L’attivazione emotiva inibisce quindi la capacità di mentalizzare, lasciando emergere modalità di organizzazione del Sé arcaiche che hanno il potere di disorganizzare le relazioni e di distruggere la coerenza narrativa del Sé (e del Sé in relazione con l’altro). Nelle relazioni non significative invece, non vi sarebbe una attivazione emotiva tale da influenzare la capacità di mentalizzare.
Racalbuto, in linea con questa descrizione, parlando dei pazienti borderline e dei disturbi narcisistici della personalità, rileva come la clinica psicoanalitica si imbatta in esperienze relazionali e in vissuti soggettivi “muti” di pensiero rappresentativo e di affetti definiti. Per Racalbuto esistono più tipi di funzionamento psichico: uno più “pulsionale” (affettivo-sensoriale) ed ancorato alla corporeità ed alla fisicità, altri che utilizzano modalità rappresentative più evolute. La modalità affettivo-sensoriale resterebbe la modalità psichica predominante quando la relazione primaria ha riservato ostacoli alla maturazione psichica. Nel suo libro “Tra il fare e il dire” egli cerca appunto di “fare un po’ di luce su quelle aree dello psichismo che non comportano una mente” (Racalbuto, 1994).
Relativamente al riemergere di modi di esperienza interna relativamente arcaici, nei pazienti borderline la mentalizzazione è orientata alla modalità dell’equivalenza psichica, quella particolare modalità di pensiero che i clinici solitamente chiamano “pensiero concreto” . Nessuna prospettiva alternativa è possibile rispetto a ciò che appare. Tutto ciò che è percepito è trattato come reale e le reazioni esagerate del paziente sono giustificate dalla vividezza che caratterizza la loro esperienza immediata (nel vero senso di “non mediata dal pensiero”) dei propri e altrui stati mentali, pensieri e affetti. Questa esperienza può apparire come un sintomo quasi psicotico (Zanarini, et al., 1990) e ricorda le memorie corporee associate con il Disturbo Post-Traumatico da Stress (Morrison, et al., 2003). Inoltre, in questi pazienti, le primitive modalità di concettualizzare le azioni in termini di ciò che semplicemente appare tende a dominare le motivazioni (“se la tua porta era chiusa, allora mi odi”). In questa modalità c’è una prevalenza del fisico e l’esperienza è valida solo quando le sue conseguenze sono visibili a tutti: gli affetti, ad esempio, sono veri e reali solo se accompagnati da espressioni fisiche tangibili. Allo stesso modo l’azione e la motivazione sono dettate sempre e soltanto da sensazioni fisiche, senza alcuna possibilità che una qualche operazione mentale si frapponga tra esperienza interna e azione.
Altre volte, invece, i pensieri e i sentimenti possono essere completamente dissociati tra loro al punto da sembrare senza senso. In questo caso la modalità del far finta sembra non aver alcun collegamento con la realtà esterna. In questi stati i pazienti possono arrivare a parlare delle loro esperienze senza contestualizzarle in alcun tipo di realtà fisica o materiale ed una psicoterapia con pazienti che si trovino in tale stato può portare a soffermarsi su discussioni relative ad esperienze interne che sembrano non avere alcun legame con l’esperienza.
Bibliografia
Baker L.
Fonagy P. e Bateman A.W. Mentalizing and borderline personality disorder // Journal of Mental Health. – 2007. – 16. – p. 83-101.
Morrison A. P., Frame L. e Larkin W. Relationships between trauma and psychosis: A review and integration // British Journal of Clinical Psychology. – 2003. – 42. – p. 331-353.
Racalbuto A. Tra il fare e il dire. – Milano : Raffaello Cortina Editore, 1994.
Zanarini M., Gunderson J. G. e Frankenburg F. R. Discriminating borderline personality disorder from other Axis II disorders // American Journal Psychiatry. – 1990. – 147. – p. 161-167.