Quasi tutti i genitori si sentono un po’ a disagio la prima volta che viene posta loro la domanda: “Da dove vengono i bambini?” Ma quando il bambino che pone la domanda è stato concepito con la fecondazione assistita, questa domanda – e la risposta – sono un po’ più complicate. Anche se si tratta di un momento che scuote i genitori, bisogna tenere presente che questa curiosità rappresenta un passo importante del bambino per quanto concerne la consapevolezza di se stesso e delle persone che ha intorno.
La dottoressa Nancy Freeman-Carrol, psicologa, psicoterapeuta e psicoanalista, ha pubblicato un articolo (qui tradotto e adattato) che può essere molto utile a tutti quei genitori che hanno dovuto ricorrere alla fecondazione assistita (e non solo) e che si trovano a dover rispondere a questa domanda.
Una tipica prima risposta potrebbe essere qualcosa del tipo: “Quando due persone si amano, allora possono fare un bambino!” Questa risposta è semplice, breve e delicata. Per un bambino in età prescolare questa è solitamente un’informazione sufficiente per poter parlare di intimità e sessualità. Ma ovviamente queste parole sono tutt’altro che semplici per le persone che hanno avuto problemi di infertilità.
L’American Society for Reproductive Medicine raccomanda alle famiglie di spiegare l’uso della fecondazione assistita ai propri figli. Le preoccupazioni dei genitori sono comprensibili: la scoperta che non si può concepire un bambino senza la donazione di un gamete esterno, ad esempio, è un evento che cambia la vita e, nella migliore delle ipotesi, necessita di un significativo aggiustamento emotivo mentre nel peggiore dei casi rappresenta un vero e proprio evento traumatico. L’accettazione di questa realtà può essere lenta e dolorosa e può rimanere irrisolta anche dopo che il bambino è finalmente arrivato.
I genitori possono avere la tendenza a rinviare il momento in cui raccontarlo ai loro figli, agli amici o alla famiglia, perché temono che parlarne possa essere doloroso e stigmatizzante, per loro e per i loro figli. Solitamente quasi tutti coloro che hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita desiderano sapere quale possa essere il modo migliore per parlarne con i loro figli.
Il consiglio della dottoressa Freeman-Carrol è il seguente:
– Iniziare presto. Parlarne con il bambino, anche prima che questi possa capire, dà modo ai genitori di abituarsi a raccontare la loro storia e di identificare e gestire sensazioni dolorose necessariamente legate alla decisione di ricorrere alla fecondazione assistita.
– Ricordare che i bambini si avvicineranno all’idea della fecondazione assistita con interesse perché sono naturalmente curiosi e non perché hanno preconcetti su ciò che è “giusto” o su quale sia il modo tipico di essere concepiti.
– Spiegare che sono necessarie tre cose per fare un bambino: una cellula speciale da un uomo o papà che si chiama spermatozoo, una cellula speciale da una donna o mamma che si chiama una cellula uovo o ovulo e infine un posto speciale dentro una donna o nel corpo di una mamma dove il bambino potrà crescere.
– Chiarire che a volte queste tre parti provengono dalle due persone che saranno i genitori del bambino mentre altre volte è necessaria un’altra persona – chiamandola donatore – che aiuti i genitori a “fare il bambino”.
– Identificare ciò che è stato necessario nella propria situazione. I genitori dovrebbero sempre sottolineare l’amore che provano l’uno per l’altro e la determinazione che hanno avuto nel formare una famiglia. Essi possono anche parlare di quello che sanno relativamente al donatore.
Il vantaggio di parlarne precocemente è chiaro: i bambini hanno tempo per avvicinarsi gradualmente all’idea della fecondazione assistita, secondo i loro tempi e le loro capacità, così come per conoscere tante altre cose che riguardano loro stessi e la loro famiglia (si veda ad esempio un articolo relativo a come i bambini arrivano a capire il concepimento e la nascita). Allo stesso modo non è mai troppo tardi per fornire informazioni sul donatore.
Una ricerca del 2007 condotta su adolescenti suggerisce che i ragazzi sono in grado di entrare in empatia con lo sforzo dei genitori nel creare una famiglia, che comprendono la differenza tra un genitore e un donatore e che la consapevolezza della fecondazione assistita non ha modificato il ruolo dei genitori nella loro vita. I ragazzi hanno affermato che i bambini hanno diritto a ricevere queste informazioni perché ciò è rilevante per la loro identità.
Si deve sempre tenere a mente che una famiglia nasce nel momento in cui i genitori concepiscono l’idea di avere un bambino: il bambino cresce prima nella mente dei genitori, nei loro progetti relativi alla gravidanza e nei loro sogni per il futuro. Quando i bambini chiedono “Da dove vengono i bambini?”, quello che la maggior parte di loro vuole sentire dai genitori è: “Dunque, questa è la storia di come ho iniziato a pensare a te! Questo è l’inizio della nostra famiglia“.