Nel lavoro di rielaborazione dei concetti classici della psicoanalisi da parte di Joseph Sandler vengono introdotte una serie di specificazioni essenziali per la psicologia psicoanalitica. La specificazione probabilmente più importante riguarda la distinzione dell’ambito esperienziale da quello non esperienziale:
“Il contenuto di qualunque genere di ‘esperienza’ può essere sia conscio che inconscio. L’individuo può conoscere i propri contenuti ‘esperienziali’ al di fuori della coscienza
[…]. L’ambito ‘non esperienziale’ è del tutto diverso: è il regno delle forze e delle energie, dei meccanismi e degli apparati, delle strutture organizzate, sia biologiche che psicologiche, degli organi di senso e dei mezzi di scarica. L’ambito ‘non esperienziale’ è essenzialmente non conoscibile, e può essere appreso solo se si crea o si verifica un evento fenomenico nell’ambito dell’esperienza soggettiva” (Sandler, et al., 1969).Sandler quindi cerca di tenere legato il modello rappresentazionale alla teoria strutturale:
“l’Io è il teatro e le rappresentazioni sono i personaggi sulla scena. Noi percepiamo i personaggi della rappresentazione, ma restiamo beatamente ignoranti degli essenziali accessori di scena che permettono la rappresentazione” (Sandler, 1960).
Il non esperienziale è quindi inconoscibile per definizione, ma non è mai stato rimosso o dinamicamente inibito. La distinzione tra una fantasia (conscia o inconscia) e le funzioni della struttura sottostante ad essa (il fantasticare) è un esempio di questa distinzione: nel primo casi siamo nell’ambito esperienziale, nel secondo in quello non esperienziale.
Il modello chiarisce che le rappresentazioni, le fantasie, non sono di per sé un agente di cambiamento, ma un indicatore di come la mente funziona.
In un articolo sulla struttura degli oggetti interni e delle relazioni oggettuali Sandler chiarisce la sua visione degli oggetti interni come “strutture psicologiche specifiche, collocate al di fuori del campo dell’esperienza soggettiva [che devono essere tenuti distinti dalle] rappresentazioni esperienziali, consce o inconsce, del Sé e degli oggetti” (Sandler, 1990), sebbene gli oggetti interni (intesi come strutture) si costruiscano a partire dall’esperienza soggettiva, che a sua volta può essere percettiva o fantasmatica. Una volta formatesi, queste strutture non esperienziali possono modificare l’esperienza soggettiva, inclusa l’esperienza del bambino relativa ai suoi oggetti reali. La distinzione tra ambito esperienziale e ambito non esperienziale resta un punto fondamentale: le strutture profonde dell’inconscio fanno parte dell’ambito non esperienziale.
Un altro concetto chiave nella teorizzazione di Sandler è quello che egli chiama attualizzazione, nel senso di, come egli specifica, “rendere reale” o “realizzare un’azione” (Sandler, 1976b). Sandler trova le origini di questo concetto nell’importantissimo capitolo sette de L’Interpretazione dei Sogni di Freud, che vedeva la gratificazione in fantasia di un desiderio come una ripetizione della percezione associata alla soddisfazione del bisogno (Freud, 1900). Sandler ipotizza che il sogno fornisca una soddisfazione poiché il sognatore osserva i suoi sogni, raggiungendo in questo modo una “identità di percezione, vale a dire la ripetizione della percezione che è collegata col soddisfacimento del bisogno”.
Il concetto di attualizzazione viene quindi utilizzato per la comprensione di quella che Sandler chiama la rispondenza di ruolo (Sandler, 1976a): egli ritiene che il desiderio dei pazienti di attualizzare una fantasia inconscia li porti ad assegnare, a loro stessi e all’oggetto una specifica relazione di ruolo che realizzi una variegata gamma di desideri e difese inconsce. Il paziente tenta così di agire sul mondo esterno e di apportargli delle modifiche, in modo da renderlo conforme ad una sua fantasia inconscia (ciò a volte può avvenire anche mediante la distorsione della percezione del mondo esterno). Sandler suggerisce che gli analisti dovrebbero permettersi una “rispondenza liberamente fluttuante” mediante la quale arrivare ad una maggiore comprensione del mondo interno del paziente. L’aspetto importante è che, per il paziente, è l’intera relazione di ruolo a rappresentare l’identità di percezione con la sua fantasia inconscia. Conseguentemente anche il controtransfert può essere visto come parte di questo processo, un processo che riflette il funzionamento della mente inconscia del paziente.
Per Sandler le fantasie di desiderio sono rappresentazioni di interazioni tra il Sé e l’oggetto, il cui scopo principale è quello di fornire uno stato affettivo primario di benessere prendendo contemporaneamente le distanze da uno stato di dispiacere (Sandler, et al., 1978). L’oggetto gioca quindi un ruolo importante, tanto quanto il Sé, nella rappresentazione mentale che contiene il desiderio. Le relazioni oggettuali non sono solo l’appagamento di un desiderio istintuale, ma anche l’appagamento dei bisogni di sicurezza, rassicurazione ed affermazione. Sono questi bisogni che spingono verso l’attualizzazione di una relazione desiderata. C’è da precisare che la fantasia che viene attualizzata può essere anche molto diversa dalla fantasia inconscia originaria, generata da un sottostante stato affettivo: ciò perché la fantasia originaria potrebbe non essere “accettata” dalle convenzioni sociali interiorizzate e quindi deve essere necessariamente modificata.
Ne consegue che le relazioni manifeste, reali, possono essere viste come dei derivati di sottostanti relazioni di ruolo relative alle fantasie di desiderio originarie. Allo stesso modo anche i tratti di carattere possono essere compresi come strutture ben consolidate di rispondenza di ruolo che attualizzano una rappresentazione desiderata di una relazione, che a sua volta è un derivato di una relazione esistente sotto forma di fantasia inconscia (Sandler, 1981).
Va precisato che le rappresentazioni di queste relazioni desiderate non derivano semplicemente dalle percezioni delle reali interazioni precoci tra il bambino ed il genitore: le percezioni di queste relazioni sono soggette, a loro volta, a trasformazioni difensive che scaturiscono dai bisogni dell’Io di gratificazione o di difesa nei confronti dei desideri inconsci. Quindi queste strutture (oggetti interni) sono determinate, in parte, anche dalla vita fantasmatica del bambino e quindi spesso l’oggetto, così come è rappresentato nella mente del bambino, è una distorsione che può derivare quasi interamente da costruzioni di fantasia. È’ di fondamentale importanza comprendere il fatto che l’immagine dell’oggetto può essere distorta (anche notevolmente) in modo da poter recepire aspetti scissi dell’immagine inconscia del Sé; si tratta di quegli aspetti che solitamente potrebbero attivare affetti spiacevoli (ad es. sentimenti di colpa o di vergogna). Ne deriva che ogni relazione reale e manifesta, compresa quella che emerge nel setting psicoanalitico, è una versione distorta della fantasia inconscia, e non una semplice ripetizione di pattern di relazioni interpersonali.
Per Sandler quindi l’oggetto interno svolge, tra le altre, la funzione di incorporare aspetti della rappresentazione del Sé inaccettabili, accrescendo così l’esperienza dell’individuo di un “sentimento” di sicurezza generale in termini di economia mentale degli affetti (Sandler, 1990).
In stretta relazione con quanto visto sopra è il tentativo di Sandler di integrare la prevalente nozione kleiniana di identificazione proiettiva al suo modello rappresentazionale (Sandler, 1987). Sandler interpreta l’identificazione proiettiva come una fantasia che implicherebbe prima di tutto la distorsione della rappresentazione dell’oggetto nella mente del soggetto, in modo che l’oggetto possa contenere aspetti della rappresentazione del Sé non graditi. Quindi, per poter mettere in pratica la fantasia, al fine di conseguire una identità di percezione, il soggetto cercherà di rendere il comportamento dell’oggetto reale conforme alla sua rappresentazione distorta. Mantenere i confini tra il Sé e l’oggetto è inoltre essenziale, in questo meccanismo, per svolgere la funzione difensiva di dissociare aspetti non desiderabili del Sé, mantenendo allo stesso tempo l’illusione di controllarli attraverso il controllo dell’oggetto.
Questo concetto può anche essere illustrato all’interno del contesto della trasmissione transgenerazionale delle rappresentazioni: l’interazione del genitore con il bambino è basata sulla sua rappresentazione delle sue passate relazioni di attaccamento. In questo nuovo incontro, il caregiver può modificare la rappresentazione del suo bambino per renderla identica ad un aspetto non desiderato del Sé. Egli quindi può arrivare ad “influenzare” il bambino al punto da farlo comportare in maniera compatibile con la sua rappresentazione interna distorta. Naturalmente questo processo agisce in entrambi i sensi: anche il bambino può sentirsi costretto a distorcere la sua rappresentazione del caregiver per poter affrontare affetti altrimenti ingestibili; ciò a sua volta causa reazioni comportamentali nel caregiver in grado di confermare l’accuratezza delle rappresentazioni mentali del bambino. Gradualmente, attraverso questo processo, la rappresentazione del Sé del bambino può assomigliare sempre più a quella del caregiver, portando così alla formazione di un falso-Sé.
Opere citate
Freud S. L’interpretazione dei sogni; OSF, 3, 1900.
Sandler J. On the concept of superego // The Psychoanalytic Study of the Child. – 1960 – 15. – p. 128-162.
Sandler J. Countertransference and role responsiveness // Internationa Review of Psycho-Analysis. – 1976a – 3. – p. 43-47.
Sandler J. Dreams, unconscious phantasies, and “identity of perception” // International Review of Psycho-Analysis. – 1976b – 3. – p. 33-42.
Sandler J. Character traits and object relationships // Psychoanalytic Quarterly. – 1981. – 50. – p. 694-708.
Sandler J. The concept of projective identification // in: Projection, Identification, Projective Identification / a cura di: Sandler J. – Madison, CT : International Universities Press, 1987. – Tr. it.: “Proiezione, identificazione, identificazione proiettiva”. Torino, Bollati Boringhieri (1988).
Sandler J. On the structure of internal objects and internal object relationships // Psychoanalytic Inquiry. – 1990. – 10. – p. 163–181.
Sandler J. e Joffe W.G. Towards a basic psychoanalytic model // Internationa Journal of Psycho-Analysis. – 1969 – 50. – p. 79-90.
Sandler J. e Sandler A.M. On the development of object relationships and affects // Internationa Journal of Psycho-Analysis. – 1978. – 59. – p. 285-296.