di Luca Mazzotta
Le opportunità offerte dalle moderne tecniche di neuroimmagine sull’uomo stanno gradualmente aprendo nuovi ed a lungo attesi orizzonti. Anche una disciplina come l’economia, che per molto tempo ha resistito alla contaminazione da parte di teorie ed ipotesi sviluppate in campi diversi, si sta giovando delle recenti osservazioni delle neuroscienze. La razionalità, così come è descritta dalla teoria economica, rappresenta solo una particolare modalità del ragionamento umano: un processo di pensiero di tipo cognitivo e controllato. Ma l’uomo, in ogni istante della sua esistenza, affronta senza sosta conflitti tra processi cognitivi e processi affettivi, così come per la maggior parte del tempo non è in grado di riflettere sui suoi stessi processi psichici: la gran parte della nostra vita psichica non ci è accessibile e, nel tentativo di “afferrarla”, spesso siamo portati a spiegarla seguendo i dettami della nostra logica razionale, quel particolare tipo di processo psichico di cui abbiamo la migliore conoscenza. Ma le nostre scelte, le nostre decisioni, non sono mai esclusivamente frutto di una asettica razionalità.
Questa nuova impostazione metodologica mina alla base le fondamenta su cui la teoria economica si è fino a qualche tempo fa retta. L’homo oeconomicus finisce con l’apparire come una semplice caricatura dell’uomo. La monolitica teoria economica, secondo cui il confronto tra diverse alternative segue sempre le stesse regole, si trova a doversi confrontare con le ultime scoperte scientifiche che indicano come, per ogni diverso tipo di problema, per ogni diverso tipo di confronto, vi siano diversi processi psichici in azione ed in conflitto tra loro. Se i concetti economici di “equivalente certo” e di “grado di avversione al rischio” rendono possibile una scelta tra alternative differenti, ora sappiamo come il tipo di scelta che viene effettuata quando si deve decidere tra una opzione certa ed una lotteria è totalmente differente dal processo psichico utilizzato per scegliere tra due diverse lotterie. Allo stesso modo, un contesto rischioso, in cui le distribuzioni di probabilità degli eventi sono note, presuppone una valutazione totalmente differente da quella che verrebbe effettuata in un contesto di incertezza. Significativa è la prova che i tempi di computazione nel processo decisionale sono maggiori quando si deve scegliere tra una somma certa ed una lotteria non ambigua rispetto a quando la scelta è tra una somma certa ed una lotteria “ambigua” (in cui non è definita la distribuzione di probabilità); entrerebbero in gioco infatti, in quest’ultimo caso, processi psichici “preconfezionati” ed automatici, in grado di valutare le alternative secondo metodi di categorizzazione che coinvolgono in primo luogo le emozioni.
Cade così, dopo quella tra mente e corpo, la distinzione tra ragione e passione, addirittura rivalutando ciò che Hume affermava: la scelta è possibile proprio grazie alle emozioni. L’importanza della corteccia prefrontale nell’associare ad ogni alternativa una “valutazione emotiva” è confermata dal bizzarro comportamento dei pazienti con lesioni proprio in questa area, ad iniziare dal povero Phineas Gage, uno tra i più famosi pazienti nella storia delle neuroscienze.
Tra i tanti insoluti enigmi della teoria economica, ve ne è uno che negli ultimi trenta anni ha scomodato, e continua a scomodare, moltissimi ricercatori: l’enigma del premio per il rischio sulle azioni. E’ noto che l’investimento in azioni garantisca un rendimento mediamente più elevato di quello nei più sicuri titoli di stato. Eppure il maggior rendimento è superiore a quanto la teoria economica prescriva. Solo ricorrendo ad ipotesi “psicologiche” è stato possibile avanzare delle credibili soluzioni, chiamando in causa la prospect theory e dunque la diversa valutazione degli eventi favorevoli e sfavorevoli, delle vincite e delle perdite, e chiamando in causa una ulteriore caratteristica psicologica dell’agire umano: la “miopia”, la preferenza per la gratificazione immediata, la difficoltà nel differire la soddisfazione dei bisogni, il costo del provare ansia. E’ questa l’ipotesi di Benartzi e Thaler.
Queste ipotesi psicologiche trovano ora le prime conferme grazie alle ricerche neuro scientifiche ed è anche possibile rintracciare nella recente letteratura le conferme neurofisiologiche alle ipotesi di Benartzi e Thaler: articoli pubblicati negli ultimi due anni evidenziano l’esistenza di differenti elaborazioni cerebrali per le scelte “irrazionalmente” rischiose e per le scelte “irrazionalmente” prudenti, in grado di confermare anche dal punto di vista neurofisiologico la prospect theory. Allo stesso modo è stato dimostrato che il problema della scelta tra una gratificazione immediata ed una differita non è affrontato mediante la medesima elaborazione cerebrale che viene utilizzata quando si deve scegliere tra due gratificazioni fruibili in diversi momenti futuri.
Se il concetto economico di avversione al rischio non è sovrapponibile in maniera perfetta al concetto di loss aversion, così il concetto di preferenza intertemporale non coglie pienamente il “costo” dovuto al semplice fatto di dover spostare nel futuro il soddisfacimento di un bisogno: potremmo parlare, per analogia, di defering aversion.
Wilhelm Launhardt, uno dei fondatori dell’economia matematica scrisse nel 1885: <<il valore non è una proprietà intrinseca alle cose, ma una relazione tra le proprietà delle medesime e colui che le giudica, così come l’ombra non è una proprietà dei corpi, ma un fenomeno dipendente dalla forma del corpo e dall’intensità e posizione della fonte luminosa>>. Ma la scelta è umana e non matematica. Se l’economia è la scienza che studia le situazioni nelle quali l’uomo deve saper scegliere tempestivamente quali mezzi utilizzare per soddisfare bisogni e necessità e ricavarne la maggiore soddisfazione possibile, ora sappiamo molto di più su come il processo decisionale si svolga, anche da un punto di vista neuropsicologico.
Lo stato interno è avvertito psichicamente come “coscienza nucleare” attraverso le strutture del tronco dell’encefalo, e ci informa (non necessariamente in maniera consapevole) su quelle che possono essere le nostre necessità o i nostri bisogni attraverso le “emozioni”. Etimologicamente “ex movere” indica un movimento, un cambiamento interno. I bisogni sono avvertiti grazie all’attivazione di particolari sistemi, come quello della ricerca, della rabbia, della paura e dell’angoscia, che danno luogo agli affetti. Anche in questo caso è utile richiamare la derivazione etimologica del termine: “ad facere” indica la tendenza all’azione. L’affetto ha il suo sbocco naturale nell’azione. I nostri bisogni, dunque, possono essere soddisfatti attraverso la realtà esterna, percepita grazie alla corteccia somatosensoriale. La stessa realtà esterna, inoltre, può concorrere a modificare i nostri bisogni. In ogni caso, dal confronto tra stato interno e stato esterno arriviamo a prefigurarci quella che può essere la nostra azione volta a farci raggiungere lo stato desiderato. La corteccia frontale assume la duplice funzione di “inibire” la ricerca di gratificazione immediata e di prefigurare, grazie ai marcatori somatici, le conseguenze relative a diverse azioni attuabili nell’ambiente. Senza tale struttura si agirebbe come degli zombie: esseri impulsivi e senza alcuna capacità di pianificazione.
Se questo è, grosso modo, il processo psichico attraverso cui si prendono delle decisioni, potrebbe essere veramente “rischioso” negare o trascurare l’influenza delle emozioni.
Per approfondire:
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