La schizofrenia è la più grave e complessa delle malattie psichiche (la seconda più grave è la psicosi maniaco-depressiva, attualmente definita disturbo bipolare) tanto che a lungo si è dibattuto se si tratti di una “sindrome”. Solo nell’ottocento, con gli impulsi scientifici partiti da Parigi (alla clinica Salpetriére) e Londra (al Bethlem Hospital), si è definitivamente iniziato a parlare di malattia, classificando gli schizofrenici come malati.
Kraepelin, psichiatra e psicologo tedesco, aveva notato che le varie manifestazioni del disturbo, che chiamava Dementia Praecox, rappresentavano differenti facce della stessa malattia.
L’idea che la schizofrenia sia una vera e propria malattia è stata con forza avanzata dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler ed a lui si deve la denominazione corrente e la distinzione degli aspetti che all’epoca si ritenevano caratteristici (le cosiddette “4 a”: associazioni deboli, affettività inadeguata, ambivalenza e autismo). Bleuler aveva notato nei malati una marcata frammentazione psichica, la perdita delle capacità associative, la presenza di scissioni multiple ed una grave disorganizzazione del pensiero e pensava che la malattia avesse una causa psicologica.
In passato il comportamento deviante (ad esempio parlare con persone inesistenti) non veniva considerato un sintomo di malattia ma una forma di cattiva condotta (cioè di condotta socialmente indesiderata), almeno nel mondo occidentale. Per molti secoli il termine malattia indicava il rapporto tra la serie di disturbi accusati dal paziente (come può essere ad esempio il prurito) ed il sintomo organico osservabile (ad esempio un esantema). Il comportamento deviante – cioè ogni forma di condotta che esulasse dalle norme correnti – veniva invece spiegato in base ad un modello demoniaco, codificato nel XV secolo dal Malleus Maleficarum (il martello delle streghe), considerato il trattato sulla stregoneria. Con i demoni si spiegavano i pensieri insoliti, le credenze non ortodosse e il pensiero non conformista; la Chiesa era quindi responsabile del controllo e della cura di quanti violavano le norme. La diagnosi di stregoneria divenne un’arte raffinata e complessa, e gli ecclesiastici specializzati in questo campo raggiunsero l’apice del potere nel XVI secolo ai tempi dell’Inquisizione.
Nel ‘600 si assistette ad una trasformazione. Gli eccessi dell’Inquisizione furono mitigati dal sorgere della filosofia umanistica, dal rifiuto della scolastica e dalla scoperta delle opere del medico greco Galeno e di altri autori classici. In questo clima, Teresa d’Avila affrettò il passaggio dal concetto di demone a quello di malattia quale causa del comportamento deviante. Un gruppo di sue monache manifestava quella che oggi sarebbe definita una sindrome isterica: i funzionari dell’Inquisizione sostenevano che le donne erano possedute dal demonio e volevano sottoporle a pratiche esorcistiche. Teresa tenne testa agli inquisitori dichiarando che le monache erano ammalate. Essa rivendicò la tesi di un’origine naturale del loro comportamento: melanconia (tratta dalle teorie degli umori di Galeno), debolezza mentale e sonnolenza. La loro condotta abnorme, affermava Teresa, poteva essere spiegata attraverso cause naturali; esse non dovevano perciò essere considerate indemoniate ma come malate.
Agli inizi del ‘900 Eugene Bleuler non si riteneva soddisfatto del concetto di dementia praecox. Egli nell’analisi di un paziente partiva da tre premesse che si fondavano sul modello scientifico dell’epoca: 1) i malati di mente sono una realtà; 2) la mente è costituita di tre parti: intelletto, volontà ed emozioni; 3) il comportamento “deviante” si verifica quando queste tre parti non agiscono all’unisono (come avviene ad esempio in un cervello leso). Coniò così la parola schizofrenia, letteralmente mente scissa, divisa, separata.
I sintomi della schizofrenia si distinguono in sintomi negativi (le quattro “a” menzionate in precedenza: associazioni deboli, affettività coartata, ambivalenza, autismo) e sintomi produttivi (come i deliri e le allucinazioni) i quali sono secondari a quelli negativi, cioè insorgono dopo e possono anche non essere presenti.
Sulla base dei diversi sintomi è stata proposta una distinzione tra
– Schizofrenia di tipo I: caratterizzata da esordio acuto, sintomi positivi, assenza di lesioni organiche, migliore risposta ai farmaci antipsicotici e prognosi migliore;
– Schizofrenia di tipo II: caratterizzata da sintomi negativi, esordio lento e progressivo, minore risposta agli psicofarmaci, spesso presenza di atrofie cerebrali e ventricoli dilatati, prognosi più negativa.
A queste è stata aggiunta la forma “ebefrenica” che corrisponde all’incirca alla schizofrenia disorganizzata del DSM caratterizzata da importanti disordini del pensiero e del comportamento .
Si parla inoltre di disturbi schizotipici e schizoidi in presenza di un quadro clinico simile alla schizofrenia ma con sintomi “quantitativamente”attenuati. Il disturbo schizoaffettivo (con presenza quindi di componenti dei disturbi dell’umore) e le psicosi dissociative (ora disturbo schizofreniforme) fanno parte dello spettro schizofrenico ma hanno una durata inferiore ai sei mesi.
Per quanto riguarda l’eziopatogenesi, sebbene un grosso gruppo di disturbi dello spettro schizofrenico abbia una base genetica (circa il 50%), resta pur sempre un 50% di casi legati a influenze ambientali.
È molto importante, ai fini prognostici, iniziare la psicoterapia immediatamente dopo il primo esordio psicotico: per ottenere dei buoni risultati (che nell’ambito di disturbi così gravi può significare circa la metà di esiti positivi) è necessario un trattamento prolungato; purtroppo molti pazienti abbandonano la terapia nei primi due anni. Ad ogni modo spesso permangono dei problemi soprattutto in ambito relazionale e sessuale. Un importante filone di ricerca della psicoterapia psicodinamica dei disturbi schizofrenici è rappresentato dalla Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica (SPP), grazie agli iniziali contributi del prof. Gaetano Benedetti, il quale già nel 1956 organizzò insieme a Christian Müller il primo Simposio Internazionale per la Psicoterapia della Schizofrenia, oggi diventato “International Society for Psychological and Social Approaches to Psychosis“. Del prof. Benedetti, da poco scomparso, tra i tanti pregevoli lavori resta sempre attuale ed interessante la lettura di “Alienazione e personazione nella psicoterapia della malattia mentale” (1980, Torino, Einaudi). Appena mandato in stampa inoltre è il libro del dott. Ciro Elia, docente e membro fondatore della SPP, edito da Franco Angeli: “Un nuovo sguardo alla schizofrenia. Psicoterapia e Psicodinamica“.