di Luca Mazzotta – Psicologo e Psicoterapeuta a Milano
Il funzionamento borderline, da sempre considerato in letteratura come il “limite, le colonne d’Ercole” della psicoanalisi, oggi rappresenta un terreno di verifica per le più recenti teorie psicoanalitiche. Comunemente alla maggior parte degli approcci psicoanalitici attuali, si intenderà l’organizzazione borderline di personalità in termini di livello di funzionamento psichico.
Generalmente l’attenzione ricade su tre meccanismi di primaria importanza per l’evoluzione e la strutturazione delle organizzazioni borderline: (i) la rappresentazione e regolazione degli affetti, (ii) il controllo dell’attenzione (che a sua volta ha importanti ripercussioni sulla regolazione degli affetti) e (iii) la mentalizzazione.
Queste tre capacità rappresentano tre aspetti della funzione evolutiva dell’attaccamento che Peter Fonagy chiama funzione interpretativa interpersonale (Interpersonal Intepretative Function, IIF). A differenza della concezione di Bowlby di modelli operativi interni, la cui funzione era solo quella di codificare le rappresentazioni di esperienze di attaccamento, la IIF rappresenta una funzione in grado di processare e interpretare nuove esperienze. L’IIF dunque non ha a che fare con rappresentazioni di esperienze e non è ricettacolo di incontri personali con il caregiver, ma è invece un meccanismo di elaborazione di nuove esperienze, accostabile in qualche modo alla bioniana funzione alfa. La stessa funzione interpretativa interpersonale ha sia una componente cognitiva (IIF-C) che una componente orientata verso gli affetti e le emozioni (IIF-A). A questi tre aspetti è stato in seguito aggiunto il sistema duale dell’attivazione neuronale coinvolto nel mantenimento dell’equilibrio tra le funzioni mentali, in cui sono impegnate le aree anteriori e posteriori del cervello, deputate all’integrazione emozione-cognizione ed all’identificazione ed interpretazione degli stati mentali propri e degli altri. Questi due sistemi tenderebbero ad essere inibiti in seguito all’attivazione del meccanismo di attaccamento.
L’ipotesi di Fonagy è che questi meccanismi, in particolare il mentalizzare, siano normalmente attivi per tenere sotto controllo (ed impedire di emergere) una forma di soggettività psichica primitiva, caratteristica del funzionamento mentale dei bambini piccoli (equivalenza psichica e far finta).
La centralità del fallimento nella regolazione degli affetti è universalmente riconosciuta come caratteristica prevalente nei disturbi borderline. L’acquisizione della capacità di regolare gli affetti, come si è visto, inizia durante l’infanzia e continua nella fanciullezza e durante l’adolescenza. Allo stesso modo, per raggiungere una adeguato senso del Sé, il bambino ha bisogno del rispecchiamento contingente dei suoi segnali emotivi da parte del caregiver.
E’ stato inoltre dimostrato che l’assenza di rispecchiamento può condurre ad un attaccamento di tipo disorganizzato (Gergely G. 2004: The role of contingency detection in early affect-regulative interactions and in the development // Social Behavior – 13 – p. 468-478): la disorganizzazione dell’attaccamento è caratterizzata da tentativi inadeguati ed inefficaci del bambino di regolare il Sé nel corso della Strange Situation, a differenza dell’attaccamento insicuro, che sebbene rappresenti comunque una strategia costosa risulta efficace nel tenere a bada l’angoscia. Questi bambini, di conseguenza, tendono ad essere oppositivi ed ipercontrollanti e spesso sviluppano caratteristiche dissociative nell’adolescenza o durante l’età adulta.
Studi recenti hanno sottolineato le difficoltà nel controllo dell’attenzione nei pazienti borderline (Hoermann, S.; Clarkin, J. F.; Hull, J. W.; Levy, K. N. 2005 The construct of effortful control: An approach to borderline personality disorder heterogeneity // Psychopathology – 38 – p. 82-86). In effetti il fallimento della capacità di poter dirigere volontariamente l’attenzione è direttamente connesso con problemi di impulsività e può, a sua volta, minare la capacità dei pazienti di stringere adeguate relazioni sociali. E’ ovvio che una mancata sintonizzazione precoce e contingente con il caregiver non permette lo sviluppo della capacità di dirigere e mantenere l’attenzione, proprio perché l’attenzione congiunta, che dovrebbe favorire l’organizzazione del Sé attraverso le interazioni col caregiver, viene a mancare. Inoltre l’assenza di una situazione di profonda sicurezza impedisce di poter distogliere l’attenzione dai segnali potenzialmente minacciosi. Dunque l’attenzione, che deve restare necessariamente focalizzata sulle possibili minacce, non è esercitata come una capacità flessibile e quindi non il bambino non sarà più in grado di dirigere volontariamente l’attenzione su di un differente aspetto del mondo (interno o esterno).
Ricapitolando: una scarsa funzione riflessiva genitoriale non permette, nella coppia caregiver-bambino, la condivisione dell’attenzione sull’interazione; senza l’attenzione condivisa non è possibile lo sviluppo di un senso del Sé efficace (mediante l’internalizzazione della rappresentazione congruente del proprio stato affettivo) né, di conseguenza, lo sviluppo della capacità di regolare gli affetti. Una scarsa capacità di regolare gli affetti non permette lo sviluppo di una relazione di attaccamento sicuro.
In presenza di eventi o pattern interattivi davanti ai quali il bambino non può essere in grado di attribuire un senso (trauma, abuso, maltrattamento), le strategie di attaccamento potrebbero fallire del tutto, dando così luogo ad un attaccamento disorganizzato o non classificabile.
Esistono studi che dimostrano (Lyons-Ruth, K.; Yellin, C.; Melnick, S.; Atwood, G. 2005 Expanding the concept of unresolved mental states: Hostile/helpless states of mind on the Adult Attachment Interview are associated with disrupted mother-infant communication and infant disorganization // Developmental Psychopathology – 2005 – 17 – p. 1-23. – Sroufe, L. A.; Egeland, B.; Carlson, E.; Collins, W. A. 2005 The development of the person: The Minnesota study of risk and adaptation from birth to adulthood – New York: Guildford) come i pazienti borderline abbiano, per la maggior parte, storie di attaccamento disorganizzato. A sua volta è stato dimostrato che la qualità dell’attaccamento è predittiva della qualità della mentalizzazione (Fonagy P. e Target M. 1997 Attachment and reflective function: Their role in self-organization // Development and Psychopathology – 9 – p. 679-700 – Tr. it.: in “Attaccamento e funzione riflessiva”. Milano, Cortina 2001) capacità fortemente deficitaria in particolare nei pazienti borderline.
La fenomenologia del disturbo borderline di personalità può quindi essere vista come la conseguenza di una inibizione della capacità di mentalizzare all’interno delle relazioni significative di attaccamento, che determina il riemergere ed il prevalere di modi di esperienza interna relativamente arcaici ed una la costante tendenza all’identificazione proiettiva, funzionale alla riesternalizzazione del Sé alieno formatosi come conseguenza di un rispecchiamento non congruente.