I sintomi psicosomatici, cioè sintomi fisici intimamente legati a fattori di stress intrapsichici e psicologici, hanno a lungo presentato, e in qualche modo continuano a presentare, alcuni difficili problemi di diagnosi e di trattamento. Recentemente il DSM ha tentato di delimitare questo ambito di psicopatologia individuandone diverse categorie: disturbi somatoformi, disturbi fittizi e fattori psicologici che influenzano una condizione medica generale. È ragionevole in prima approssimazione considerare tutte queste categorie come “disturbi psichici di somatizzazione“. Caratteristiche distintive di queste categorie diagnostiche sono state tradizionalmente: la presenza o meno di alcuni sintomi difficilmente spiegabili dal punto di vista medico, il livello di consapevolezza (intenzionalità) e di stress emotivo da parte del paziente rispetto ai sintomi.
Il ruolo dello psicologo-psicoterapeuta spesso inizia con una consultazione, in molti casi dopo l’invio del paziente da parte del medico di base, che per primo viene interpellato per valutare i sintomi fisici. In questi casi la sfida diagnostica per i medici generici e per gli altri medici specialisti è particolarmente impegnativa in quanto si trovano a dover valutare se la presenza dei sintomi fisici sia dovuta a cause mediche identificabili oppure se si tratta di una particolare reazione di tipo psicologico.
Quando evidenze cliniche sufficienti sottolineano il ruolo significativo di fattori psicologici, lo psicoterapeuta è spesso consultato per formulare una diagnosi differenziale ed eventualmente proporre un adeguato trattamento.
Per somatizzazione generalmente si intende la tendenza ad avere sintomi somatici attraverso i quali vengono espresse emozioni che altrimenti sarebbero – per alcuni motivi profondamente soggettivi – impossibili da esprimere direttamente. I motivi soggettivi possono riguardare il timore che esprimere determinate emozioni possa essere sono socialmente inaccettabile, dannoso per la propria autostima, oppure in molti casi si tratta di una capacità poco sviluppata di esprimere le emozioni in modi non somatici. La somatizzazione è utilizzata come meccanismo di evitamento dell’emozione, a volte innocuo, come quando spesso si deve declinare un invito sociale o un impegno lavorativo a causa di una improvvisa sensazione di “malessere” generata solitamente in modo inconscio. Tuttavia, l’uso eccessivo di questa “fuga” da impegni sociali, lavorativi o di altro genere, può diventare patologico e portare alla formazione di una sintomatologia cronica in grado di limitare pesantemente la vita relazionale, sociale e lavorativa.
I disturbi di somatizzazione sono molto diffusi: fino al 30% della popolazione può in qualche momento della propria vita sperimentare sintomi clinicamente significativi di somatizzazione. Predittivi di persistenza e cronicizzazione di tali sintomi nel corso del tempo sono il genere (femminile), la presenza di sintomi depressivi, una storia di traumi o di abusi ed anche la presenza di disturbi di somatizzazione nei genitori. La maggiore presenza di questi sintomi nel sesso femminile si riflette con una incidenza del vero e proprio disturbo di somatizzazione nell’1% nelle donne. Ci sono stati vari motivi ipotizzati per la preponderanza femminile dei disturbi di somatizzazione, comprese le influenze ambientali, culturali e biologiche.