Depressione, esperienza soggettiva e sistemi cerebrali: la prospettiva di Mark Solms e la neuro-psicoanalisi
I fenomeni mentali consci, come il provare dei sentimenti, non sono fenomeni secondari e senza alcun rapporto con l’attività cerebrale: i sentimenti si sono evoluti per motivi biologici ed hanno importanti relazioni con l’attività cerebrale. La tendenza delle moderne neuroscienze cognitive e della psichiatria biologica di ridurre la consapevolezza ad un epifenomeno del cervello rischia di portare la ricerca, anche quella farmacologica, fuori strada.
Freud è stato a suo tempo fortemente avversato per aver dato importanza a quell’ambito del funzionamento mentale comunemente chiamato inconscio. Ora l’evidenza del funzionamento mentale inconscio è talmente schiacciante che spesso la domanda che frequentemente le neuroscienze cognitive si pongono è proprio quella opposta: a cosa serve la consapevolezza?
Freud nel Compendio di psicoanalisi (1938) considera
<<il dato di fatto della coscienza, un dato che non ha eguali e che si sottrae caparbiamente ad ogni tentativo di spiegazione e descrizione. Tuttavia quando si parla di coscienza , ciascuno sa benissimo in base alla propria esperienza più intima, cosa si intende>> sottolineando poi in una nota come <<un indirizzo di pensiero estremo come il behaviorismo sorto in America presume di poter costruire una psicologia che non tenga conto di questo fondamentale dato di fatto!>>.
La coscienza dunque è la caratteristica realmente distintiva di ciò che chiamiamo mente. Nonostante ciò, i comportamentisti hanno inizialmente cercato di costruire una scienza della mente che non tenesse conto di questa sua peculiare caratteristica distintiva: poiché la coscienza non può essere osservata dall’esterno – asserivano – non è utilizzabile in una ricerca scientifica. Il tentativo di trattare la mente come qualunque altro oggetto della natura ha quindi portato ad eliminarne la sua caratteristica distintiva e l’unico prodotto della mente ammesso allo studio era il semplice “comportamento”. Ovviamente una tale scuola di pensiero era destinata al fallimento: negare l’influenza sul comportamento di una persona di stati mentali come gli affetti o le emozioni era negare l’ovvio. Fortunatamente negli ultimi decenni la coscienza è stata “riammessa” nella scienza: nonostante non possa essere osservata direttamente, i neuroscienziati oggi ne ammettono l’esistenza nei loro esperimenti. Ma le cose stanno davvero così? Non proprio. La coscienza è del tutto equiparata ai correlati fisiologici. Oggi infatti siamo in grado di studiare i correlati fisiologici di qualunque stato mentale. Eppure così facendo non ci si rende conto che parlare di depressione oggi significa in qualche modo parlare solo di uno dei possibili correlati fisiologici degli stati depressivi: bassi livelli di serotonina negli spazi intersinaptici!
Questo però non significa caratterizzare gli stati depressivi: dire che alle manifestazioni depressive sono associati bassi livelli di serotonina non significa affatto averne individuato l’essenza e le cause. Negli ultimi anni si è scoperto molto dei meccanismi neurofisiologici della diminuzione dei livelli di serotonina e degli effetti neurotrofici di un basso livello di questo importante neurotrasmettitore; si sa molto dei meccanismi neuroendocrini dello stress, degli effetti sul sistema immunitario, delle interazioni con i meccanismi che regolano il sonno, delle basi genetiche ecc. Tutto questo perché, come ai tempi del behaviorismo, i livelli di serotonina sono direttamente osservabili e dunque “maneggiabili dal punto di vista scientifico”. Non importa se tutto questo non ha nulla a che fare con cosa realmente siano i sentimenti depressivi. Nessuno può realmente pensare che sentimenti depressivi siano causati da bassi livelli di serotonina: non sono mai state realmente dimostrate chiare evidenze di ciò. Si osserva solo una correlazione. Allo stesso modo non si può dire che la serotonina abbia a che fare direttamente con la depressione: si tratta infatti di un neuromodulatore di una grande varietà di sentimenti ed emozioni. Ed in effetti i farmaci che agiscono sui livelli di serotonina sono usati anche per altri disturbi, non sono efficaci in molti casi di depressione e agiscono spesso in modo limitato e temporaneo (si vedano i risultati dello studio STAR*D). La serotonina ed altri neuromodulatori affini sono fattori troppo generici per poter stabilire una relazione causale con la depressione: essi correlano, facilitano, contestualizzano la depressione ma non ne spiegano la causa e i reali meccanismi. Altrove deve risiedere il meccanismo causale della depressione. Mark Solms ritiene che questo “qualcos’altro” possa avere a che fare con delle specifiche strutture cerebrali che generano i tipici sentimenti depressivi.
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